Storie dietro ai motti

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Il 150° anniversario delle Truppe Alpine dell’Esercito è l’occasione per sfogliare l’album della grande famiglia delle penne nere, e partire così alla (ri)scoperta di fatti noti e meno noti della storia e della tradizione degli Alpini. I motti ad esempio. Quello ufficiale del Corpo, “Di qui non si passa”, un tempo più popolare, è  ritagliato su misura per i soldati concepiti dal Perrucchetti per la difesa dei confini d’Italia, e risale al 1888, sedici anni dopo l’istituzione delle prime quindici compagnie alpine grazie al decreto siglato a Napoli da Re Vittorio Emanuele II il 15 ottobre del 1872.Il motto viene coniato a Roma nell’ottobre del 1888 dal generale Luigi Pelloux, primo Ispettore Generale degli Alpini; la Capitale è il teatro di una grande rivista militare in onore del Kaiser Guglielmo II, alla quale partecipano due reggimenti di quei soldati speciali che portano l’ammiratissimo cappello con la penna. Come racconta Sticca in Non si passa! Vita e vicende degli Alpini, Pelloux coglie l’occasione per radunare i suoi ufficiali per un banchetto, che termina naturalmente con un brindisi e un discorso del capo, che si conclude proprio con l’annuncio del motto: “Sono orgoglioso di comandare gente votata, occorrendo, alla morte per l’indipendenza e la gloria della nostra patria. Il motto de’ miei Alpini
per me si riduce in queste poche parole: Di qui non si passa”. Le poche parole del Pelloux finiscono presto su migliaia di cartoline attraverso cui si affermano l’identità e l’immagine del Corpo. Il motto – che tra l’altro oggi solca i mari facendo bella mostra di sé su nave ‘Alpino’, una moderna fregata della nostra Marina Militare- ne ispira altri dello stesso genere, divenuti celebri durante la Grande Guerra: ‘Trincea’, il periodico della IV Armata – uno dei migliori giornali nati in prima linea– reca infatti come sottotitolo “Quarta Armata: non si passa” e successivamente “Armata del Grappa: non si passa! …. passeremo noi!”. Un ordine del giorno dell’Armata degli Altipiani (la VI), termina con l’esortazione “a ripetere alto il grido che oggi risuona concorde dai confini del Belgio all’Adriatico: non si passa”.
Al motto del Corpo si affiancano poi quelli di reggimenti, battaglioni e perfino compagnie, anch’essi divulgati attraverso una vasta produzione di cartoline, manifesti e striscioni. Molti motti sono in latino, diversi in italiano (uno anche in francese) e non mancano quelli nei dialetti delle valli di provenienza degli Alpini, tutti comunque legati alla virtù militare e alpina, in astratto oppure riferita a imprese realmente avvenute. In Piemonte spiccano quello del 4° reggimento “In adversa ultra adversa” (esortazione scolpita all’interno del Comando della Taurinense, sul cui bel piazzale rinnovato nel 2011 si staglia tra l’altro la scritta “La fede per credere, il coraggio per agire”),“Altius Tendo” (Sempre più in alto, 3° reggimento), “Droit Quoi Qu’il Soit” (Avanti a ogni costo, battaglione Saluzzo), “A Brüsa: Suta ‘L Süsa”
(battaglione Susa), “Tücc’ün”(Tutti uniti, battaglione Ivrea).
Un cenno lo merita senz’altro il motto “I l’uma fait pulissia”, legato a un fatto d’arme del 1915, riportato da un comunicato ufficiale, in cui si distinse un plotone di alpini del battaglione “Dronero” del 2° Alpini, condotto dal sottotenente di complemento Pietro Ciocchino da Pinerolo. Il plotone si lanciò di notte alla conquista
di una trincea occupata da forze nemiche superiori. Ferito gravemente al braccio sinistro “il Ciocchino non desisteva dall’incuorare i propri soldati dando loro mirabile esempio di sangue freddo e di coraggio. Prese allora il comando un caporale maggiore, che venne ucciso. Un altro caporale maggiore, Antonio Vico, prese a sua volta il comando del plotone, e sebbene ferito al braccio destro, lo guidò animosamente all’assalto”. Finì che gli Alpini spazzarono via l’avversario, che riportò fortiperdite. Vico riassunse l’assalto in poche parole in dialetto piemontese: abbiamo fatto pulizia, che divenne il motto del battaglione. Re Vittorio Emanuele III, presente al fronte, volle motu proprio conferire la medaglia d’argento al valor militare a Ciocchino e Vico. Al primo fu proprio il sovrano a consegnarla, mentre Vico
la ricevette dal generale Porro, il quale – riferì l’agenzia Stefani con l’enfasi dell’epoca – diede “all’eroico militare il bacio che l’Esercito dà ai suoi figli valorosi”.
Quello del Dronero, è un motto che viene dal basso, dalla prima linea,e suona come la rivendicazione di aver fatto il proprio dovere, semplicemente. E’ solo una delle tante storie racchiuse negli scrigni di tutte le unità alpine, passate e presenti, all’interno dei quali c’è abbondanza di personaggi straordinari, di avventure grandiose, di valore puro e di sacrificio talvolta estremo. I motti sono una chiave per aprirli, quest’anno più

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